Cima genovese

Cima genovese con salsa verde

Storia:

Son certo che se mia nonna Ersilia fosse ancora qui, si sarebbe alzata la vigilia di Natale alle prime luci del mattino per cucire la cima, prepararne la farcitura secondo la tradizione e cuocerla in un pentolone pieno d’acqua a fuoco lento per almeno tre ore. Non è ben chiara l’origine temporale di questo piatto, ma di certo questa era l’usanza delle donne genovesi del ‘900 con l’approssimarsi delle feste.

Dal sito della Regione Liguria (www.agriligurianet.it) si apprende che l’immancabile piatto delle feste genovesi è la Cima, al punto che il poeta Aldo Aquarone la definì: “A çimma pinn-a, o re di piatti frèidi…”, ovvero, la cima ripiena, il re dei piatti freddi!

Il più ben noto Fabrizio De Andrè le ha dedicato pure una canzone, ove le parole del ritornello sono gli auspici di chi, mentre la cima cuoce, prega perché venga buona e non scoppi.

In genovese il termine cima, ha due significati uno di “cima” o “punta”, che indica anche l’estremità di una fune e/o la fune stessa, in senso culinario probabilmente spiega anche l’ottima qualità che si richiede alla carne utilizzata, una “çimma de carne” così come si dice (in dialetto) è simile al significato di una “çimma d’òmmo” (una cima d’uomo), ovvero, una persona veramente in gamba, capace.

Pare che all’origine, di questa prelibatezza della cucina popolare genovese, vi fosse la necessità di recuperare cibi avanzati, ove nulla andava gettato via e quest’ultimi, se ben assemblati, divenivano nuovi piatti. Questo spiega in parte la scarsità di carne utilizzata nella farcitura e l’uso di ingredienti meno pregiati. Infatti, la sola carne usata prevalentemente per fare la tasca, si giustifica più dalla mancanza reale di allevamenti bovini in Liguria che dalla tirchieria.

La qualità di questa pietanza è gioia non solo per il palato, ma anche per gli occhi: i differenti colori degli ingredienti rendono particolarmente affascinati le fette.

Oggi questa ricetta, forse meno famosa del ben più noto pesto, è una delle più raffinate e ricercate preparazioni della cucina ligure.

Esiste anche una versione della cima piemontese, petto di vitello ripieno, dove manca però la maggiorana (…e ciò fa la differenza), farcita essenzialmente di carne trita e uova, ma sembra trattasi di una rielaborazione del piatto ligure.

Esistono molteplici varianti della farcitura ed in tutto il genovesato si impiegano ingredienti diversi anche se il procedimento resta sempre lo stesso. Nel Ponente ligure esiste una versione magra della cima, il cui ripieno non comprende la carne.

Un ultimo prezioso segreto: il brodo ottenuto dalla cottura di questo straordinario piatto è squisito, straordinario se accompagnato da alcuni crostini di pane, utile la sera di Natale per digerire il lauto pranzo. Segue la ricetta tramandata da mia nonna!

Ingredienti:

  • n°1 tasca di pancia di vitello (da 10 uova)
  • 200 g di prosciutto cotto (opzionali)
  • 200 g di animelle o laccetti (opzionali)

N.B.: assieme ai laccetti si possono usare 200 g di cervella, oppure testicoli, poppa o carne di vitello. L’opzionalità è legata al fatto che è bene avere un ripieno piuttosto liquido e non troppo carico di ingredienti.

  • n°10 uova
  • n°1 spicchio d’aglio (opzionale)
  • 50 g di funghi secchi (opzionali)
  • 100 g di burro
  • 100 g di pinoli
  • 250 g di parmigiano grattugiato
  • 100 g di piselli
  • n°5 dadi o brodo in polvere
  • maggiorana, noce moscata, sale q.b.
  • n°1 cipolla, costa di sedano e carota (per il brodo)

 Procedimento:

Generalmente il pezzo di pancia di vitello viene venduto già cucito, con un lato aperto a formare una tasca per poterla riempire e richiudere successivamente.

Cima di vitella cucita

Cima di vitella cucita

Lato della Cima lasciato aperto a formare una sacca

Comunque nel caso in cui si trovasse il pezzo non cucito è possibile procedere da soli con ago e filo per arrosti.

Lavare e riempire d’acqua la sacca per vedere se ci sono falle, eventualmente ricucirne i punti deboli ed eventuali buchi, quindi asciugare bene.

Veniamo alla preparazione del ripieno: far rosolare con il burro tutta la carne; io avevo un testicolo e delle animelle, attenzione perchè quest’ultime cuociono in un paio di minuti, a cottura ultimata tagliare tutto a pezzetti.

Animelle (laccetti in dialetto) e testicolo

Saltare con il burro le frattaglie

Tritare la carne grossolanamente

Lessare i piselli, ammollare eventuali funghi e tritarli assieme allo spicchio d’aglio (nella mia preparazione non ho messo né funghi né aglio), tritare a quadretti un bel pezzo di prosciutto cotto.

Lessare i piselli in acqua salata (il sale accentua il colore)

Prendere una fetta di prosciutto cotto alta un dito e...

... tagliarla a cubotti!

Versare la carne tagliata a pezzi in una bowl, assieme ai piselli, i pinoli la maggiorana tritata, il formaggio, le uova, il prosciutto, quindi regolare di noce moscata e sale ed amalgamare il tutto.

Algamare tutti gli ingredienti.

La tasca va riempita fino a tre quarti del suo volume e ricucita con ago e spago, consiglio di farsi aiutare da una seconda persona oppure sostenerla dai lati con mollette ed una pentola alta.

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Verificare, a cucitura ultimata, che non vi siano fuoriuscite di ripieno ed avvolgere la cima in un telo di lino (precedentemente sterilizzato!), quest’ultimo ci salverà nella malaugurata ipotesi che un lembo dell’involucro di carne ceda sotto la spinta del ripieno.

Verificare che il ripieno non fuoriesca dalle cuciture

Avvolgere la cima in un telo di lino

Riempire un grosso pentolone d’acqua con una grossa cipolla, una costa di sedano ed una carota, aggiungere al brodo i dadi o l’eventuale brodo granulare.

Immergere nell’acqua ancora fredda la nostra sacca avvolta nel lino, dopo il primo bollo abbassare il fuoco e pungere con l’ago la nostra cima (che nel frattempo si sarà gonfiata) su ambo i lati ed in diversi punti, quindi far cuocere in acqua per circa tre ore.

Immergere la cima avvolta con tutto il lino nel pentolone

A cottura ultimata, toglierla dal brodo e farla raffreddare sotto un peso.

A cottura ultimata si presenta come un palloncino.

Ancora calda metterla a raffreddare sotto un peso

Avvolgerla in un sacchetto di plastica o in un film di pellicola per evitare che la carne si ossidi e divenga scura.

Una volta fraffreddata, avvolgerla in un sacchetto di plastica e conservarla in frigorifero

Servirla fredda come secondo piatto tagliata a fette accompagnata da un’ottima maionese o salsa verde per bolliti.

Tagliarla a fette e servirla con una salsa per bolliti

6 Risposte to “Cima genovese”

  1. cesare Says:

    Grande Nik sei perfetto come sempre, sia nella cucina sia nella documentazione dei piatti.
    Anche se Natale è passato mi hai fatto venire voglia di farla seguendo questa ottima ricetta della tradizione.
    Ad Maiora !

    Cesare

  2. tomas costa Says:

    Ho fatto la cima,molto buona.quando vado in Cile porto questa ricetta perchè è molto genuina e tipica genovese.Grazie Tiziano sei un grande.

  3. Bravissimo Nik!
    Un salutone!
    Il link al mio blog che hai nella lista dei blog consigliati è sbagliato!!
    questo è quello giusto: passione-cucina.blogspot.com

    continua così!
    Andrea

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